È stato centrocampista rossonero e nel Paris Saint-Germain. Ora si presenta alle elezioni comunali con una lista sostenuta da Mélenchon: «Per i poveri, le donne, gli immigrati, i gay e tutte le minoranze discriminate in città»
a battaglia per il Comune di Parigi è al culmine. Si vota il prossimo 15 marzo (secondo turno il 22), l’aria è elettrica e i colpi bassi non mancano: vedi lo scandalo a sfondo erotico che ha costretto al ritiro Benjamin Griveaux, fedelissimo di Emmanuel Macron. Anne Hidalgo, la sindaca socialista uscente, dovrà confrontarsi con nuovi avversari a cominciare da Rachida Dati, candidata dei Républicains: fra le due rivali è testa a testa nei sondaggi. È lo scenario politico aperto due anni fa dall’elezione di Macron e dalla nascita del suo partito, La République en Marche: i due storici partiti francesi, quello socialista e repubblicano, ne sono usciti indeboliti, sono emersi nuovi volti e nuove formazioni politiche.
Tra questi Vikash Dhorasoo, 46 anni, l’ex calciatore fuoriclasse che ha deciso di sfidare Anne Hidalgo. L’ex centrocampista passato da Milan, Paris Saint-Germain, Olympique Lione si presenta con la lista “Decidiamo Parigi!” insieme a Danielle Simonnet, sostenuti da diverse forze di sinistra ed estrema sinistra, tra cui La France Insoumise, il partito di Jean-Luc Mélenchon. Lui lo sbandiera con convinzione: «Sono di sinistra!».
A Parigi i residenti voteranno per i 17 sindaci degli arrondissement, i quartieri in cui è divisa la città. Ogni consiglio comunale comprende un certo numero di consiglieri parigini, saranno loro ad eleggere il primo cittadino della capitale francese.
Dhorasoo è capolista nel 18° arrondissement, quartiere simbolo delle contraddizioni della metropoli: allo stesso tempo turistico e popolare, comprende Porte de la Chapelle, un crocevia in cui abbondano accampamenti di fortuna di migranti, ma anche Montmartre e la Basilica del Sacro Cuore, un tempo il quartiere degli artisti, oggi abitato da giovani borghesi e pullulante di turisti in qualsiasi periodo dell’anno.
Per l’ex giocatore è la prima candidatura, ma l’impegno politico e civile non è una novità. Attraversa anzi tutto il suo percorso: in prima linea per la lotta contro la povertà e le disuguaglianze, è stato anche rappresentante dell’Ong Oxfam. Nel 2011 ha poi creato il movimento collettivo Tatane, che significa “scarpa” nello slang popolare, che oggi conta più di 5 mila membri. Ha scritto il manifesto con Brieux Férot, alla guida del noto magazine francese di calcio “So Foot”, e il produttore musicale Pierre Walfisz: l’idea è di promuovere un calcio sostenibile e festoso. L’obiettivo di Tatane è di difendere un modello di sport che promuova la ricostruzione dei legami sociali. «Grazie al calcio si restituisce fiducia ai ragazzi», è il suo motto.
Le missioni del movimento? Valorizzare lo sport come attività ludica senza “posta in gioco”: la sconfitta e la vittoria devono essere relativizzate. E poi occorre sviluppare la dimensione di politica pubblica del calcio, perché lo sport resta un legame sociale come qualsiasi altro. Per Dhorasoo il calcio può contribuire a democratizzare radicalmente la vita delle società e delle associazioni sportive: lo sport è come una città che ha bisogno dei propri cittadini. Il suo movimento è in prima linea nella lotta contro le speculazioni nel mondo del pallone. La battaglia di Dhorasoo per rendere il calcio un gioco migliore è innanzitutto un impegno civile: un gioco più leale è più utile per la costruzione della società.
Nonostante la sua sensibilità per le questioni sociali, finora Dhorasoo non ha mai posseduto la tessera di un partito, né intende prenderla in futuro. Il suo programma per Parigi poggia su pochi semplici concetti: l’urgenza ambientale e sociale, la questione femminile, la lotta contro il razzismo e le discriminazioni.
Ci diamo appuntamento per una videocall mentre lui è nel pieno nella campagna elettorale. Dhorasoo ci risponde da casa, sullo schermo troneggia la sua folta chioma nera. «Oggi è stata una giornata interminabile: ho cominciato questa mattina alle 8 a distribuire volantini, poi ho girato il videoclip della campagna elettorale», esordisce, con tono concitato.
Ha l’aria stanca, il candidato sindaco non riesce a stare fermo, sembra irrequieto, gira per l’appartamento e con un sorriso dice: «È una splendida avventura!». Da quanto sta facendo volantinaggio? «Da dicembre. Devo ammettere che fa freddo, sarebbe meglio spostare le elezioni in estate», scherza. Gli chiediamo perché un ex calciatore di successo decide di fare politica per occuparsi dei problemi della capitale e lui risponde sicuro: «Sono indignato per le ingiustizie e le discriminazioni che subiscono alcune minoranze della popolazione». Il suo impegno nasce proprio dallo spirito di rivolta. «Una rivolta contro le discriminazioni che ho vissuto, ma che oggi non vivo più perché grazie al calcio ho conosciuto un’ascesa sociale altrimenti impossibile».
Figlio di immigrati da Mauritius – i suoi genitori facevano parte della storica comunità indiana, che costituisce circa metà della popolazione dell’isola – Dhorasoo non dimentica le proprie origini: «Sono cresciuto nella provincia di Le Havre, nel nord della Francia, in una casa popolare che i miei genitori hanno potuto ottenere grazie allo stato sociale francese». Si è raccontato in un’autobiografia pubblicata anche in Italia (“Con il piede giusto”, edizioni 66th&2nd).
Oggi l’ex calciatore abita in un quartiere borghese di Parigi. «Sono consapevole di esistere perché il sistema sociale francese è molto forte», prosegue. Da piccolo, infatti, ha potuto frequentare la scuola pubblica, è stato curato come i suoi familiari negli ospedali pubblici. «Non dimentico da dove arrivo, voglio far ripartire l’ascensore sociale per quelli nati nelle mie condizioni. Sono l’unico ex giocatore professionista di sinistra che vuole cambiare la vita delle classi popolari», promette Dhorasoo.
A convincerlo a scendere in campo, a suo dire, è stato un episodio che l’ha molto colpito. Nel suo quartiere alcuni abitanti volevano cancellare un piccolo campo da calcio in una zona verde, perché lo consideravano il loro giardino. In realtà, non volevano il campo perché attirava ragazzi di origini diverse, delle classi popolari: neri, arabi, altre minoranze. Dhorasoo non dice arabi ma “rebeu”, termine colloquiale per definire i giovani francesi di origine magrebina, in “verlan”, il gergo composto da parole ottenute invertendo le sillabe, molto utilizzato dai giovani.
Dhorasoo si è battuto per salvare il campo, ha affrontato il sindaco perché secondo lui «non ci sono cittadini di seconda categoria». I ragazzi devono avere diritto di muoversi liberamente in uno spazio pubblico che appartiene a tutti. Dopo questa vittoria i suoi amici l’hanno spinto a impegnarsi in altre battaglie e così ha deciso di candidarsi nel proprio quartiere.
L’ex giocatore è anche una figura riconosciuta in Francia per la lotta contro le discriminazioni Lgbt. È padrino del “Paris Foot Gay”, associazione che si batte contro l’omofobia nel calcio e più in generale nello sport. «Rappresenta un modo per lottare contro le discriminazioni nei confronti delle minoranze».
Che cosa pensa della questione femminile? «Viviamo in una società patriarcale, in cui l’uomo domina la donna. Mentre il capitalismo, la società dei consumi, il neoliberalismo non fanno altro che replicare questa situazione di dominazione. Si tratta di un meccanismo sistemico, un’eredità dell’epoca del colonialismo».
Il suo impegno politico oggi è in quanto uomo di colore, originario dell’isola Mauritius. «La diversità non è abbastanza rappresentata in Francia. Per le donne va meglio, ma io in quanto persona di origini mauriziane e indiane non ho nessuno a rappresentarmi, lo stesso vale per magrebini e altre minoranze etniche». E aggiunge: «Per credere nella democrazia bisogna essere rappresentati».
Ma le discriminazioni non sono l’unico motivo per combattere. Le disuguaglianze sociali lo stimolano a prendere posizione. L’ex calciatore è da sempre molto critico nei confronti dell’amministrazione Macron. «Ogni giorno sono impegnato a contrastare le azioni e le scelte del presidente. I macronisti hanno fatto tutti le stesse scuole, la loro politica sta smantellando lo Stato sociale francese. Macron è il presidente dei ricchi, toglie risorse dal settore pubblico per trasferirle ai privati. Ma se si indeboliscono ospedali e pensioni siamo destinati a soffrire per il semplice fatto di invecchiare».
Dhorasoo non ha mai incontrato il presidente. All’inizio del suo mandato, Macron lo invitò a far parte di una delegazione ufficiale per accompagnarlo in visita in India, ma l’ex calciatore rifiutò per incompatibilità ideologica. «Ho sostenuto i gilet gialli e gli scioperi contro la riforma delle pensioni. Nonostante adesso sia un privilegiato, voglio rimanere sempre vicino a chi è oppresso, a chi fatica ogni giorno per riuscire a sopravvivere. Quando i cittadini decidono di scendere in strada, manifestando ogni sabato pomeriggio con il rischio di farsi pestare dalla polizia, significa che sono in grave difficoltà. E bisogna ascoltarli».
Anche il mondo del calcio, spesso e volentieri, viene attraversato da pulsioni razziste. In Italia, ad esempio, negli stadi i giocatori neri vengono regolarmente fischiati. «Quando l’ex giocatore della Juventus Lilian Thuram ha preso la parola, invece di cercare di capire quello che stava accadendo negli stadi gli è stato detto di non parlare. Eppure ciò che è successo negli stadi è gravissimo. Si ha la sensazione che un ex calciatore di colore non possa esprimere la propria opinione».
Incontriamo di nuovo il candidato qualche giorno dopo, mentre cammina per strada nel quartiere del suo collegio elettorale, il 18° arrondissement. Un passante lo riconosce e lo ferma per fare un selfie. «Vikash, sei una star!», gli dice. Lui scatta il selfie divertito e gli risponde: «Grazie amico!». Ci racconta della sua esperienza in Italia, dove è stato consacrato come calciatore ai tempi in cui giocava nel Milan e poi nel Livorno. Oggi di quei tempi resta un ricordo agrodolce. «Come giocatore di serie A ovviamente ho conosciuto solo la Milano borghese, i bei quartieri: mi ricordo che vivevo in via Fatebenefratelli, vicino a Brera, con mia moglie e mia figlia Emilie che era piccola». Ma Dhorasoo ricorda anche che in Italia è stato vittima di discriminazioni razziali a più riprese. «Una volta sono stato fermato dai poliziotti per motivi che proprio mi sfuggivano», racconta, oppure «un giorno il negoziante da cui sono andato per comprare dei fiori per mia moglie mi ha detto “no, non faccio elemosina”».
Tra i tanti ricordi italiani c’è anche l’incontro con Silvio Berlusconi: «L’ho visto più volte, veniva a salutare noi giocatori negli spogliatoi. Era molto cordiale ma non è il mio genere, lui rappresenta la destra dura». Sottolinea che dopo il suo primo match Milan-Lecce in cui aveva giocato bene, il Cavaliere era stato molto simpatico con lui. «In quei contesti, se sei bravo, sono tutti molto simpatici», sintetizza. Si ritiene un uomo rimasto sempre sul campo? «Sì, non potrei mai rimanere tranquillo nel mio angolino», ribatte.
Forse un giorno Dhorasoo potrebbe conoscere lo stesso destino dell’attuale sindaco di Londra, Sadiq Khan. In effetti le loro vicende hanno alcuni punti in comune: figlio di immigrati (pachistani), Sadiq Khan è cresciuto in una casa popolare nel sud di Londra, poi si è occupato di diritti umani e discriminazioni nei confronti degli stranieri, fino all’ingresso nella politica vera e propria. Ma chissà se Parigi è già pronta.