Rifondare la gauche. Chiudendo con il suo passato. Parla Raphaël Glucksmann, l’uomo nuovo della politica francese
DI ANNA BONALUME

Come risolvere la crisi della sinistra? La questione non è solo italiana e ora in Francia a provare a risolverla è Raphaël Glucksmann, 39 anni, sconosciuto al grande pubblico fino a pochi mesi fa, scrittore e figlio del filosofo André Glucksmann, ma soprattutto nuovo volto della politica, che rappresenterà la lista Place Publique-Partito Socialista alle elezioni europee. Place Publique è il movimento fondato a novembre 2018 dallo stesso Glucksmann, insieme all’economista Thomas Porcher, l’ex socialista Jo Spiegel, e la militante ecologista Claire Nouvian. In pochissimi mesi questa formazione è riuscita a imporsi nel panorama politico francese, una performance che ha spinto alcuni commentatori a fare un parallelo con En Marche. Glucksmann è un difensore del progetto europeo («L’Europa è la causa della mia vita») ma è anche un protagonista delle lotte per la giustizia sociale e l’ecologia, sempre da condurre a livello europeo. Per mesi Glucksmann ha tentato di negoziare una lista unica che comprendesse “Génération.s”, movimento guidato da Benoît Hamon, ex ministro socialista, e i Verdi, rappresentati da Yannick Jadot. L’invito a creare un’unione di sinistra è stato accolto però solo dai socialisti.
Glucksmann, perché ha chiamato il suo movimento “Place publique” (piazza pubblica)?
«Perché la questione fondamentale è ripensare lo spazio pubblico, un’invenzione italiana. Come afferma la scrittrice finlandese Sofia Oksanen, l’Europa è la piazza pubblica. Questo costituisce la grande differenza rispetto alle città americane. La piazza pubblica è il luogo architettonico del Rinascimento italiano, dove la città afferma il proprio potere collettivo: è qui che i cittadini si riuniscono e decidono insieme. Oggi bisogna riaffermare questo spazio contro lo spirito dei centri commerciali, risposta neoliberale e capitalista alla piazza pubblica. Nei centri commerciali, appartenenti ad aziende private, i consumatori si incrociano e non fanno politica. La sinistra oggi deve riabilitare lo spazio pubblico contro lo spirito dei centri commerciali».
Lei è di sinistra?
«Sì…». (Sorride)
Senza dubbio?
«Sì. Bisogna poter definire cosa s’intende per “sinistra”».
E cosa si intende per sinistra?
«Non sono un feticista delle parole. So che è stato un governo di sinistra ad iniziare la guerra in Algeria e un governo di destra ad interromperla. Mi sono impegnato politicamente per la prima volta all’epoca del conflitto in Ruanda: è stato un presidente di sinistra che ha sostenuto le milizie responsabili del genocidio. Per questo motivo non ho un rapporto religioso con la sinistra. Penso che oggi abbiamo assolutamente bisogno di sinistra, ovvero di una visione del mondo fondata sul primato del collettivo sull’individuale, sulla legittimità del potere pubblico ad imporre regole che impediscano la distruzione del corpo sociale. Si può e si deve regolamentare il mercato, per poter orientare il destino comune delle città, senza prendere in considerazione le potenze sociali e finanziarie. Ma oggi la sinistra ha perso, la socialdemocrazia è morta. Ed è proprio per questo che ritengo interessante oggi dirsi di sinistra. Quando la sinistra dominava l’Europa, non mi sarei mai detto di sinistra».
Quando?
«Negli anni ‘90, al tempo in cui tutti i governi erano socialdemocratici, D’Alema in Italia, Jospin in Francia, Schröder in Germania. In quel momento è cominciata la crisi. Nel 1998 i capi di stato dell’epoca, in prevalenza proeuropei, si sono ritrovati al summit europeo di Vienna, in un periodo di crescita. Era il momento in cui si sarebbe potuta inventare un’Europa sociale e democratica, preparare uno sbocco politico all’euro. D’Alema commentò così la conclusione del summit: “Abbiamo parlato per il 90 per cento del tempo dei duty free negli aeroporti”. E lì cominciò la sconfitta».
Quali sono le prime mosse che la sinistra dovrebbe fare?
«Ritornare sul campo e andare in biblioteca. Bisogna capire perché non riusciamo più a parlare al popolo, comprendere i problemi di una politica ridotta ad un’espansione infinita di diritti. Bisogna tentare di rispondere ai gilet gialli: la società francese è disarticolata, non ha la sensazione di appartenere allo stesso popolo. La sinistra deve smettere di farsi avvocato del “sempre più diritti, be happy, be free”. E poi tutti questi diversi partiti di sinistra (Hamon, i verdi, gli ecologisti) con progetti simili, preoccupati della catastrofe climatica e del rischio Salvini ovunque, dovrebbero unirsi. Per me il nemico è Marine Le Pen e Macron è l’avversario».
Che valore attribuisce all’unione del suo movimento Place Publique con il Partito Socialista?
«Dopo due mesi di profonde discussioni, l’idea è quella di creare una piattaforma in cui possano riunirsi tutte le forze politiche di sinistra. Nel caso del Partito Socialista, con il quale abbiamo recentemente trovato un accordo, l’obiettivo è quello di recuperarne l’eredità e di convertire la socialdemocrazia in socialecologia. Abbiamo delle proposte di rottura rispetto al passato, come per esempio quella di abbandonare la dottrina del deficit al 3 per cento, un rinnovamento della politica agricola comune, la fine della grande coalizione con il Partito popolare europeo in Europa».
Come valuta l’evoluzione del movimento dei gilet gialli? E la reazione del presidente Emmanuel Macron?
«Il comportamento di Macron è inquietante: agisce come se volesse mantenere l’esplosione delle tensioni. Sabato scorso, durante una manifestazione, una donna di 73 anni è stata spinta a terra e ricoverata, Macron l’ha incriminata. Credo che il presidente stia utilizzando la strategia della tensione: favorisce l’identificazione dell’estrema destra e dell’estrema sinistra con le violenze del movimento dei gilet gialli. In questo modo, la reazione della popolazione preoccupata è quella di unirsi intorno a lui. In realtà l’arroganza di Macron provoca una crisi sociale permanente. All’inizio delle manifestazioni il sindacato Cfdt aveva proposto una soluzione: rivalutare gli stipendi. Macron ha risposto di non essere stato eletto per discutere di stipendi. Ora però servono delle risposte. Vediamo come si concluderà il “grande dibattito”: Macron è tecnicamente molto bravo nello svolgimento di questi lunghissimi dibattiti con i cittadini, ma sembrano più dei “one man show” che dei dialoghi».
Come analizza il ruolo assunto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini in Italia e in Europa?
«Non condivido affatto la sua visione, ma cerco di capire il motivo per il quale quando si trova in un villaggio del sud Italia metà del paese va in piazza ad ascoltarlo, toccarlo, baciarlo, fare un selfie. Non sono tutti nazisti! Se vuoi combatterlo, devi capirlo. Ha dato alla gente l’impressione di essere padrona del proprio destino, grazie alla creazione di un capro espiatorio: i più deboli, gli stranieri, ma anche Bruxelles. Dà l’impressione di poter padroneggiare il proprio destino e nessun leader di sinistra riesce più ad incarnare questa forza, dicono tutti “dovete adattarvi al mondo, è complicato”. La politica non è adattarsi al mondo, ma decidere del proprio futuro. Ho seguito la formazione del governo italiano : da un lato c’era tutto quello che detesto, il becero populismo di Beppe Grillo, e dall’altro l’estrema destra della Lega. I due si sono uniti in una coalizione. Gli editorialisti di “Le Point” e alcuni parlamentari tedeschi esortavano le agenzie di rating a sanzionare l’Italia ancor prima della formazione del governo. Così da un lato la democrazia ha prodotto un progetto liberticida e pericoloso, secondo me populista e demagogico; dall’altro, per difendere la libertà, fa appello ad autorità che non hanno nessuna legittimità per sanzionare la decisione democratica presa dagli italiani. Sono queste le possibilità politiche per il futuro? Se bisogna scegliere tra le agenzie di rating e Matteo Salvini, allora faccio come l’asino di Buridano».
Nel suo libro “I figli del vuoto” il filo conduttore è Machiavelli e il riferimento al Rinascimento italiano struttura il suo pensiero. Perché la storia e la cultura italiane sono indispensabili per comprendere l’attuale crisi della democrazia in Europa?
«L’Italia ha inventato tutto, è un laboratorio per il mondo. Avete inventato la banca internazionale con i Medici, il commercio internazionale con le Repubbliche marittime, ma anche la politica moderna e l’idea repubblicana all’epoca delle città nel Rinascimento. Avete inventato anche il capitalismo. La teoria di Max Weber sulla nascita del capitalismo dallo spirito del protestantesimo è una ricostruzione a posteriori per legittimarne la provenienza, ma in realtà è nato nelle città italiane, a Firenze, Genova, tra violenze e assassini. È una nascita molto più sporca dell’etica protestante della responsabilità di fronte a Dio. L’Italia ha inventato anche la figura di Berlusconi, che si ripropone sotto nuove forme in Europa, come nel caso dell’uomo d’affari Andrej Babis nella Repubblica Ceca. Babis unisce business e politica, arricchendosi tramite una legittimazione politica dei propri interessi e una svalorizzazione della sfera pubblica. Oggi viviamo un disordine simile a quello vissuto dagli italiani durante il XIV secolo. Fu un periodo di grande innovazione, creatività, libertà e allo stesso tempo di violenza e perdita di riferimenti, con lo sviluppo di teorie millenariste e la crisi degli stati-nazione. Come si costruisce una democrazia? Bisogna rileggere i testi dei dibattiti sulle leggi suntuarie a Bologna. All’epoca le ricchezze si accumulano molto rapidamente, si assiste all’urbanizzazione e allo sviluppo dell’economia di mercato, si affermano le repubbliche cittadine. La questione allora è: come si può evitare che l’accumulo di ricchezze impedisca una base comune repubblicana? Come preservare la nozione di spazio pubblico? Bisogna impedire di ostentare le proprie ricchezze, per esempio indossando abiti dorati, per poter assicurare un processo d’identificazione collettiva? Anche oggi, con l’esplosione delle disuguaglianze, ci poniamo le stesse domande».
Chi sono i “figli del vuoto” di cui lei parla nel libro?
«Siamo io e lei. Sono i bambini nati in una società in cui le strutture collettive, come il sindacato, il partito politico, sono entrate in crisi. Le ideologie collettive di destra, come la nazione o il patriarcato, e di sinistra, come il marxismo, sono entrate in crisi. L’individuo è diventato il suo stesso orizzonte. Sono i figli della società individualista, una società solitaria e per questo infelice: la differenza rispetto ai nostri genitori è che loro sono nati in un “troppo pieno” di dogmi e strutture ideologiche, per vivere liberamente avevano bisogno di emanciparsi da queste strutture, di rompere le catene. Oggi ci troviamo in una situazione opposta. Il nostro obiettivo non è rompere le catene, ma ritessere un orizzonte collettivo, reintegrare l’individuo in un ambiente: naturale, attraverso l’ecologia, e sociale. Anche noi vogliamo una vita libera e dignitosa, ma la strada da percorrere è inversa, tutta da costruire.
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