«Il presidente si crede al di sopra della legge, come il caso del suo bodyguard ha dimostrato». Dall’ambiente al reddito universale, l’ex leader socialista francese, ora a capo di un nuovo movimento, spiega la sua strategia
DI ANNA BONALUME
Benoît Hamon, 51 anni, ex ministro del governo Hollande, un anno fa ha abbandonato il partito socialista (di cui è stato candidato alle ultime presidenziali) e ha lanciato il suo movimento, Génération.s, riunendo intorno a sé attivisti, intellettuali, parlamentari ed economisti di sinistra come Thomas Piketty. Mentre in Francia i media si interrogano sui reali benefici e le conseguenze del governo Macron, il movimento Génération.s guarda oltre il vecchio recinto socialista, cercando di costruire una nuova proposta sociale e civile.
Un anno dopo, qual è il suo bilancio del governo Macron?
«È un governo esclusivamente pro-business. Tutte le decisioni rispondono a una sola domanda: è vantaggioso per gli affari? Macron è riuscito a realizzare una fusione della borghesia economica tradizionalmente di destra e della borghesia culturale di sinistra, una fusione degli ambienti degli affari e dell’alta funzione pubblica di Stato, che ha una base molto fedele, non numerosa, ma che ha un potere economico, politico, mediatico incredibile. Ancora oggi Macron gode dell’allineamento di questi pianeti. Con Macron assistiamo alla diffusione di una sorta di razzismo sociale, con un discorso e una politica che puntano il dito contro i più modesti e i più poveri. Alla regressione democratica sulle politiche di accoglienza dei migranti, all’integrazione dello stato d’urgenza nel diritto comune, la moltiplicazione delle forme di polizia amministrativa a scapito della giustizia. Si può aggiungere il disprezzo di Macron per tutti i corpi intermedi, la riduzione dei diritti del Parlamento, e poi un gusto arcaico per i simboli dell’ancien régime, l’utilizzo della reggia di Versailles. Un vero monarca eletto, insomma».
Il presidente è anche alle prese con il caso Benalla, il suo bodyguard che picchiava due ragazzi a un corteo.
Perché quest’evento ha assunto una tale importanza in Francia?
«L’Affare Benalla è un concentrato dei vizi della democrazia francese. Il Presidente è costituzionalmente intoccabile. Sa di esserlo e ne approfitta. Si può constatare la sua perfetta impunità e quella del suo entourage, convinti che tutto sia loro concesso, al di sopra di ogni legge. È profondamente scioccante. Ma protestare e non cambiare nulla nelle istituzioni non serve a nulla. La Francia deve dotarsi di una nuova Costituzione, quella di una democrazia adulta che non si affida all’uomo della Provvidenza. Dal 1958 la Francia elegge dei re. Deve tornare a essere una repubblica dotata di contropoteri, garante del funzionamento democratico e nell’ordine economico».
Lei come interpreta la crisi economica in Francia e in Europa?
«La crisi economica è la crisi della zona euro. Abbiamo perso ogni forma di sovranità sulle nostre politiche monetarie, abbiamo creato una specie di mostro. E poi non abbiamo saputo sostituire lo smantellamento delle politiche pubbliche negli Stati membri, lo Stato-provvidenza in Francia, lo Stato-sociale in Italia, con una potenza pubblica europea».
Quali sono le sue proposte per uscire da questa crisi?
«Bisogna guardare le cose come stanno. L’umanità e il suo futuro sono in pericolo. È stato scelto un modello di sviluppo intensivo, capitalista, che sta creando le condizioni per un caos ecologico su tutta la terra. Riscaldamento climatico, perdita della biodiversità, supersfruttamento delle risorse naturali e fossili».
Problemi per i quali sembra insufficiente un’azione a livello nazionale…
«Per questo ci siamo alleati con Yanis Varoufakis con il quale difendiamo in Europa il principio del “Green new deal” che prevede di mobilizzare decine di miliardi per la transizione ecologica ed energetica. Servono investimenti considerevoli che vadano ben oltre il miserabile Piano Juncker. Il secondo grande tema è la rivoluzione digitale. Le trasformazioni digitali hanno modificato l’organizzazione del lavoro: molti lavoratori soffrono della perdita di senso al lavoro, hanno la sensazione di non avere più autonomia, la loro creatività non viene mai sollecitata, vivono il lavoro come una sofferenza sempre più grande. Si avanza verso una rarefazione del lavoro, l’umanità farà ricorso a sempre meno lavoro per ottenere ciò di cui ha bisogno. La nostra risposta a questa rivoluzione è doppia: prima cosa rimettere la questione della riduzione del tempo di lavoro al centro del dibattito politico. La seconda è il “reddito universale d’esistenza”, ovvero garantire a tutti gli individui un reddito in più che restituisca loro l’autonomia perduta, per non dipendere più da una pensione o da uno stipendio da miseria e che relativizzi il ruolo del lavoro nelle nostre vite. L’idea non è dire: morte alla mondializzazione. L’idea è dire: adattiamoci con un reddito universale».
E tuttavia la sua proposta di reddito universale non ha convinto durante la campagna presidenziale…
«Non è il reddito universale che mi ha fatto perdere la campagna presidenziale, ma il partito socialista e il bilancio di François Hollande».
Tra gli slogan del suo nuovo movimento Génération.s c’è “siamo umanisti”. Cosa significa oggi essere umanisti?
«La cosa più semplice possibile, tornare a pensare l’Umano al centro del dibattito. Oggi gli esseri umani passano in secondo piano in molte decisioni politiche, la salute degli uomini è secondaria, la vita degli esseri umani arriva dopo la remunerazione del capitale, la redistribuzione dei dividendi. La questione dei migranti è meno importante delle preoccupazioni elettorali: o in modo manifesto come nel caso di Salvini o in modo ipocrita come nel caso di Macron. Perché, nei fatti, per un rifugiato dell’Aquarius, tra Salvini o Macron non c’è molta differenza, in entrambi i casi vengono abbandonati. Ma il primo assume la responsabilità di dire no, l’altro non l’assume, ma prende la stessa decisione».
Quindi Salvini è più onesto di Macron?
«No, sono disonesti entrambi. Rifiutando di elaborare delle politiche d’accoglienza, voltano le spalle a una realtà presente. Se oggi non abbiamo una politica d’accoglienza che assicuri la migliore integrazione possibile alle persone che fuggono dal caos, le nostre società saranno completamente destabilizzate. È un grave errore pensare che un solo muro possa fermare l’esilio, la fame, la paura della morte che spingono queste persone. Essere umanisti è pensare innanzitutto al futuro dei nostri figli. Non ho voglia di lasciare ai miei figli un’Europa frammentata, nelle mani di Salvini, Macron, Juncker, Merkel, Orbán che si accusano a vicenda, dicendo “è colpa del vicino”».
Lei ha dichiarato di recente che la sinistra è una “famiglia politraumatizzata”. Cosa intende?
«Oggi quando parli con le persone di sinistra sono perse. E questo, secondo me, per un motivo fondamentale. Prima la sinistra era un solo continente, con diversi paesi e confini sorvegliati da guardie di frontiera precise, ma c’era circolazione tra i vari paesi, e alle elezioni la famiglia in testa aveva il sostegno di tutte le altre piccole famiglie intorno. Da una decina d’anni ci sono tante piccole parti. Una parte social-liberale, la parte di Hollande e Valls, che sostiene tesi neo-liberali, ma si lega ancora alla sinistra attraverso le questioni sociali, i diritti degli individui, e la parte di Mélenchon. Per lui la sinistra non esiste più, il divario non è più tra sinistra e destra, ma è verticale, tra l’oligarchia e la base, popolo contro élite. Dunque se ne frega della sinistra, e crede di essere il portavoce della collera e delle speranze del popolo, indipendentemente dalle appartenenze. Oggi del continente della sinistra rimane un arcipelago, che così non può vincere. Noi vogliamo rimettere insieme i pezzi di questo continente fratturato. Noi portiamo la speranza della sinistra, rinnovata grazie all’ecologia politica. Difendiamo la democrazia continua, e non la democrazia a intermittenza delle istituzioni francesi ed europee. Rivendichiamo un umanesimo radicale che punta all’emancipazione e alla realizzazione degli individui in armonia con il loro ecosistema».
Pensa che il modello Macron sia esportabile in Italia?
«Macron è una versione francese del liberalismo rappresentato in Italia da Renzi, e in Germania da Merkel. Queste persone difendono sempre le stesse politiche economiche e sociali, e garantiscono che non c’è alternativa. La differenza tra Renzi e Macron è più sulle questioni culturali. Macron è un conservatore più vicino alla Democrazia cristiana che al Partito democratico».
Ma lei che cosa pensa del Pd? E di Renzi?
«La domanda che si pone al Pd è la stessa che si impone a tutti i partiti socialdemocratici in Europa. A chi sono utili? A cosa servono? L’indifferenziazione tra la sinistra europea e la destra europea agli occhi dei cittadini è innanzitutto la conseguenza di un movimento della sinistra verso la destra e non il contrario. Mi ricordo ancora del film anticipatore di Nanni Moretti che urlava al televisore a D’Alema di dire “qualcosa di sinistra”. Quello che Moretti descriveva è vero ovunque, in Italia e in Francia. La sinistra non può riassumersi in un supplemento d’anima sulla questione dei diritti delle minoranze. L’abbandono di ogni critica fondamentale del capitalismo impedisce alla sinistra socialdemocratica di pensare a un nuovo contratto sociale e di costruire un modello di sviluppo rispettoso dei grandi equilibri ecologici. Risultato: la socialdemocrazia non serve a niente e gli elettori l’hanno capito».
Secondo lei Renzi ha anticipato la fine di Macron?
«Non so predire il futuro, ma so che dietro alla maschera della “startup nation” che Macron tenta di vendere, c’è una politica di estrema violenza nei confronti dei poveri. In un Paese molto politicizzato come la Francia questa violenza provocherà convulsioni e spasmi non indifferenti. Salvo in un caso: se riuscirà ad emergere una terza forza tra i nazionalisti e Macron. È quello che stiamo provando a fare».
Quali potrebbero essere i suoi alleati in Italia?
«Ci sono persone con cui lavoriamo, come Luigi De Magistris a Napoli, e dei movimenti come Possibile, che abbiamo invitato alla nostra convention. Ci interessiamo a collettivi italiani di cittadini, ai sindaci. C’è movimento in Italia, c’è effervescenza, le persone reagiscono. Allo stesso tempo osservo che la sinistra è molto divisa, un arcipelago appunto».
Per le elezioni europee dell’anno prossimo lei ha scelto di allearsi con la lista transnazionale Primavera europea di Varoufakis. Perché?
«Perché la risposta alla crisi è transnazionale, è la somma delle agende nazionali che fa una politica europea. Finora in Europa ognuno arrivava con il suo programmino nazionale, greco, francese etc. E si cercava di far credere alla gente che questo provocava interessi comuni. Noi siamo partiti da un programma comune. E Varoufakis ha una vera esperienza europea che è preziosa oggi».
Secondo lei alle europee i socialisti andranno verso una dissoluzione definitiva?
«Oggi la socialdemocrazia europea è come un’anatra senza testa, continua a correre, ma non sa di essere politicamente morta. Perché non ha più né un progetto sociale né un progetto democratico. La sua doppia promessa si è spenta. Ma nuove forze cominciano a imporsi ovunque in Europa. Forze più ecologiste, più sociali e più democratiche».
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