La decapitazione di Samuel Paty ha riacceso l’angoscia per il pericolo radicale. E rialimenta il dibattito sul rapporto tra lo stato e il culto
La Repubblica è sotto attacco. Il 16 ottobre la polizia ha ritrovato nella banlieue ovest di Parigi un corpo senza testa: è il cadavere di un insegnante di storia delle scuole medie di Conflans. La testa giace qualche metro più in là. Il colpevole, ucciso dalla polizia, è un 18enne di origine cecena che avrebbe rivendicato l’atto a sfondo religioso su Twitter: l’insegnante avrebbe mostrato delle caricature di Maometto in classe durante un’ora di lezione sulla libertà d’espressione. L’atto è stato immediatamente definito «attentato terrorista islamista» da Emmanuel Macron.
L’emozione nazionale è intensa: si parla della guerra tra noi e «loro, i terroristi». In effetti l’omicidio del professor Samuel Paty avviene tre settimane dopo l’attacco con un coltello vicino ai vecchi locali di Charlie Hebdo a Parigi; mentre si svolge il processo che dovrebbe fare chiarezza sugli attacchi del 2015 contro Charlie Hebdo, una poliziotta di Montrouge e contro l’Hyper Cacher. E soprattutto dopo che, il 2 ottobre, il presidente Macron ha annunciato una nuova “legge sui separatismi”, sul finanziamento delle associazioni religiose e il rafforzamento della laicità, riferendosi in particolare alla lotta contro «il separatismo islamista». Ancora una volta, dunque, attentati a carattere islamista (il caso Merah 2012, Bataclan 2015, Nizza 2016, Carcassonne 2017) si intrecciano con il dibattito politico e culturale: come definire e costruire un Islam compatibile con i valori repubblicani francesi e con il principio della laicità, la libertà d’espressione, di coscienza e di blasfemia.
Da più di vent’anni l’islam radicale è penetrato nelle aule francesi. E poco o nulla è stato fatto per arginare un fenomeno che oggi ha portato al brutale omicidio del professore Paty
«L’Islam è un problema franco-francese», ha scritto Bruno Étienne, uno dei primi sociologi negli anni Ottanta ad occuparsi della relazione tra Francia, Islam e islamismo. “La questione musulmana in Francia”, è il titolo di un libro del 2015 di Bernard Godard, ex funzionario del ministero dell’Interno, che sottolinea l’emergere di una questione musulmana «oggetto di paura, angoscia, diffidenza e animosità, se non di odio» e di un Islam combattente, terrorista, a vocazione jihadista, a partire dall’implicazione della Francia nella guerra in Siria.
Perché in Francia? Perché il Paese è colpito da numerosi attentati a sfondo islamista? Oggi l’Islam è la seconda religione dopo il cattolicesimo con 2.500 luoghi di culto: una presenza importante che ha radici storiche. La colonizzazione francese ha portato all’integrazione di diversi territori musulmani nella Repubblica francese: dal 1830 al 1962 l’Algeria è stata una colonia francese. A partire dagli anni Settanta diverse popolazioni originarie del Maghreb, dell’Africa subsahariana e della Turchia sono migrate in Francia. Molte famiglie si sono insediate in aree di periferia, le banlieue, diventate ghetti di miseria, considerate zone “esplosive”, sono ricettacoli di violenze urbane e fenomeni di comunitarismo. Il film “Les miserables” racconta questa frattura sociale.
Dall’inizio degli anni Novanta, l’Islam vissuto come identità, culturale e politica, spesso sviluppato nelle banlieue, è entrato in conflitto con la regolamentazione della vita pubblica francese, basata sulla legge del 1905 sulla separazione tra Chiese e Stato che codifica la laicità: uno degli atti che fonda la secolarizzazione dello Stato e un valore costitutivo della Repubblica francese. Questo principio autorizza tutte le credenzee impone la neutralità e la limitazione delle espressioni religiose negli edifici pubblici. Non si trova un crocifisso in un’aula scolastica o in un ospedale pubblico: il modello di convivenza e di concordia sociale fondato sulla laicità è diverso da quello inglese, definito “modello di tolleranza”, fondato sulla teoria del riconoscimento pubblico delle appartenenze religiose.
Dal 2018 l’applicazione del principio della laicità a scuola è regolata da un nuovo dispositivo. Il personale scolastico può segnalare una violazione della laicità a una squadra specializzata in “laicità e fatto religioso” e richiedere l’intervento di un referente incaricato dei “Valori della Repubblica”. Per i fatti più gravi, la squadra può comunicare con una cellula ministeriale. In ogni caso, l’identificazione e la denuncia delle infrazioni è un compito delicato. L’identità laica del Paese rischia talvolta di essere percepita come una “religione civile”, riprendendo un’espressione del politologo Olivier Roy. A proposito della laicità, Roberto Calasso ha scritto che «il secolarismo umanista non sarebbe qualcosa che viene dopo le religioni e contro le religioni, ma è esso stesso una forma di religione, che solo in tempi recenti ha raggiunto una espansione planetaria».
Le tensioni rispetto all’affermazione della laicità sono oggi evidenti. Di fronte alla complessità della questione, il linguaggio politico e mediatico si è cristallizzato intorno a due espressioni: l’Islam moderato e l’Islam radicale. L’Islam moderato, altrimenti chiamato Islam di Francia o Islam liberale, sarebbe l’Islam «compatibile con i valori della Repubblica», del quale discuteva l’ex primo ministro socialista Manuel Valls già nel 2015, dopo gli attentati di Charlie Hebdo. Nel 2016 è stata creata la Fondazione per le opere dell’Islam di Francia destinata a chiarire il finanziamento del culto musulmano in Francia. Più recentemente il presidente della Repubblica l’ha definito “Islam illuminista”, termine rivendicato dall’antropologo Malek Chebel e definito come una provocazione da Erdogan, ovvero un Islam moderno, capace di integrarsi alla vita democratica francese.
A questo fine Macron propone la creazione di scuole di formazione e certificazione per gli imam e un controllo più rigido del finanziamento delle associazioni religiose. Lo scrittore di origini algerine Kamel Daoud difende la creazione di «un Islam di Francia, strutturato dallo Stato, inquadrato da leggi e sottomesso alla Repubblica». Fece scalpore il suo articolo sugli eventi di Colonia nel quale denunciava «il rapporto malato con la donna» nel mondo arabo-musulmano, definendo l’islamismo «un attentato contro il desiderio».
Rimane problematico determinare figure di riferimento in grado di difendere e promuovere un Islam cosiddetto moderato; molti discorsi religiosi sono caratterizzati da una sottile ambiguità, come nel caso del celebre professore Tariq Ramadan, a lungo protagonista della scena mediatica francese ed internazionale, i cui discorsi sulfurei hanno saputo affabulare un pubblico di non-musulmani, rivelando allo stesso tempo un carattere prescrittivo e dottrinario con il pubblico musulmano.
Dall’altra parte c’è l’Islam radicale, un’assunzione identitaria della religione spesso in reazione alla società secolarizzata occidentale. L’Islam radicale può sfociare nell’islamismo, corrente politica che riunisce fenomeni diversi come quella di Al-Qaeda, di Daesh e dei giovani partiti fare il jihad in Iraq o in Siria, di alcuni imam attivi sul territorio francese che predicano un salafismo di matrice wahabita. Il progetto comune di questa visione è attribuire alla religione una posizione chiave nell’organizzazione collettiva. L’islamismo è quindi il nemico della Repubblica da combattere.
In questo contesto l’Islam ha assunto il carattere di una potenziale minaccia per la società francese: questo aspetto è stato colto abilmente da Michel Houellebecq nel suo best-seller “Sottomissione”, nel quale immagina un paese guidato da un partito islamico. Il romanzo narra la vittoria di un candidato musulmano alle elezioni presidenziali del 2022 contro Marine Le Pen, in una Francia in preda alla guerra civile, protagonista di scontri tra giovani identitari nazionalisti e giovani salafisti.
Il dibattito sull’Islam, teso e abitato da spettri, rende difficile un dialogo costruttivo.
Per alcuni l’Islam è incompatibile con la Repubblica, come per l’intellettuale e scrittore Eric Zemmour, per il quale non c’è differenza tra Islam e islamismo. L’ex giornalista di Charlie Hebdo Zineb El Rhazoui parla di “fascismo islamista”, per Edwy Plenel, invece, direttore di Mediapart e autore del libro apologetico “Per i musulmani”, rivendicare la religione musulmana deve essere una libertà compatibile con il progresso e l’emancipazione. Se per l’islamologo Rachid Benzine bisogna evitare di essenzializzare l’Islam, è utile invece leggere e interpretare il Corano considerando il suo contesto storico.
Una questione delicata, esplosiva, che non può essere sfruttata a fini elettorali, ma richiederebbe un impegno intellettuale, politico ed educativo di tutti gli attori della democrazia in un progetto di società a lungo termine.