Prima i gilet gialli, ora gli scioperi. E il timore che le basi populiste di destra e sinistra possano unirsi come successo tra Lega e 5 Stelle. L’analisi dell’economista Daniel Cohen
In Francia la rabbia sociale non si è spenta. Parigi è paralizzata da quasi 50 giorni. Guidatori di metro e treni si sono fermati per manifestare il proprio dissenso contro la riforma delle pensioni annunciata dal governo Macron. La riforma modificherà i vantaggi delle categorie protette, come quelle dei ferrovieri, attraverso un nuovo sistema che prevede una pensione “a punti”, per cui ogni ora lavorata corrisponderà alla stessa quantità di contributi per tutti i lavoratori. L’economista francese Daniel Cohen, direttore del Dipartimento d’economia dell’École Normale Supérieure di Parigi, è un fine osservatore delle politiche sociali ed economiche francesi e internazionali. Si è espresso più volte in modo critico sulle modalità della riforma; di recente, ha pubblicato in Francia “Les origines du populisme” edito da Seuil. L’Espresso l’ha intervistato, scoprendo che la Francia ha gli occhi puntati sull’Italia.
Il presidente Macron ripete di essere determinato a portare fino in fondo la riforma delle pensioni, nonostante il continuare dello sciopero dei trasporti. Per lui è una questione di giustizia e progresso sociale. Lei è d’accordo?
«No, per il modo in cui è stata portata avanti. In origine coloro che sostenevano questa riforma e che l’hanno iscritta nel programma del presidente erano economisti di sinistra, interessati al progresso sociale e la loro idea fondamentale era di avvicinarsi al modello pensionistico universale scandinavo, nel quale lo Stato è garante di una copertura per tutti e non solo per i meno abbienti. L’idea era quindi di abbandonare il modello di Stato sociale corporativista, francese o tedesco, dove le protezioni sociali dipendono dai settori. In questo modo ci si sarebbe allontanati dal modello sociale americano, dove il privato si occupa delle pensioni e lo Stato fornisce assistenza solo ai meno abbienti. Il sistema pensionistico francese costa caro, cioè il 14 per cento del Pil, solo in Italia si spende di più. Si era pensato a una riforma per un sistema universale più protettivo. Il governo non ha avuto un approccio pragmatico e ha posto la discussione su un piano politico, spiegando che i vantaggi delle categorie protette dei guidatori di treno, per esempio, vanno abbandonati, creando un modello generale. Si è poi aggiunta la questione dell’aumento dell’età pensionabile, deviando il messaggio iniziale».
Quello che sorprende di più della situazione francese è il livello di violenza delle manifestazioni dei gilet gialli e la durata dello sciopero contro la riforma delle pensioni. In Italia la riforma Fornero è passata, ma non abbiamo assistito a simili scontri…
«Penso che la vittoria di Matteo Salvini e del M5S sia un effetto della riforma Fornero. La reazione alla riforma non si è manifestata nello stesso modo nei due paesi, perché la Francia ha una tradizione rivoluzionaria, l’esacerbazione politica non è esattamente della stessa natura. Tutti i paesi oggi devono affrontare la riforma delle pensioni: non possiamo continuare a governare i paesi nel 2020 come li abbiamo governati nel 1980, non è più sostenibile. In 30-40 anni, una dopo l’altra, le protezioni sociali sono andate perse. La perdita di queste protezioni ha favorito l’ascesa dell’estrema destra, di ciò che chiamiamo populismo, e delle forze anti-sistema: questo è esploso in modo evidente con il governo di coalizione tra la Lega e il M5S, ma si ritrova oggi ovunque con la Brexit, Trump, l’ascesa di Marine Le Pen in Francia, il movimento dei gilet gialli e l’attuale sciopero contro la riforma delle pensioni. Queste manifestazioni di protesta si assomigliano, sono l’espressione delle categorie popolari che non sopportano più la mondializzazione: per loro la mondializzazione è la metafora di ciò che li indebolisce di più, ovvero un mondo aperto senza protezioni».
Cosa potrebbe accadere in Francia, a breve, secondo lei? Il malessere sociale potrebbe assumere forme politiche come quelle già sperimentate in Italia, per esempio con l’alleanza Lega-M5S?
«Quello che mi preoccupa della Francia oggi, è che abbiamo avuto una protesta di destra l’anno scorso, quella dei gilet gialli, e quest’anno abbiamo una protesta di sinistra, contro la riforma delle pensioni. Temo che le forze alla base di queste due proteste si alleino, un po’ come è accaduto in Italia con l’alleanza Lega e M5S per formare un governo, che però si è rivelato fragile. Un’alleanza simile potrebbe emergere in Francia e Macron, anche se dovesse vincere questa battaglia, imponendo la riforma, al momento delle elezioni presidenziali del 2022, potrebbe scontare un prezzo molto alto».
Per comprendere l’emergenza del populismo, oltre a fattori economici, nel suo libro ha analizzato fattori sociali ed esistenziali.
«Sì. Un aspetto dell’ascesa di queste forze populiste è la solitudine sociale. Le persone non si sentono più parte di una società che le protegge: questa percezione proviene dall’economia, ma anche dalla famiglia, dalla rete di amici; le persone vivono sempre più sole e non si sentono più prese in carico da forme di collettività potenti. La famiglia è molto importante, la dissoluzione dei legami famigliari e della solidarietà, specialmente in un paese come l’Italia, svolge un ruolo importante. Questo malessere assume espressioni di estrema destra e di estrema sinistra».
Ci sono similitudini tra gli elettori dei partiti populisti nel mondo?
«Gli elettori del Front National di Marine Le Pen sono caratterizzati da un tasso molto basso di fiducia interpersonale. Quando osserviamo gli elettori della Lega in Italia troviamo la stessa cosa, una forma di solitudine sociale abbastanza preoccupante. Lo stesso si trova tra gli elettori di Trump, e tra quelli che hanno votato per la Brexit. Per quanto riguarda il M5S, in Francia si tende a interpretarlo come un movimento di sinistra, perché ha sostenuto misure di sinistra come il reddito di cittadinanza. Ma gli elettori del M5S non assomigliano agli elettori dell’estrema sinistra francesi: la psicologia sociale degli elettori M5S è molto più simile a quella degli elettori della Lega. Seguendo l’indicatore di fiducia interpersonale, si osserva che gli elettori del M5S sono molto diffidenti. Si ricorda che Beppe Grillo aveva accusato gli africani di aver portato la tubercolosi in Italia? L’utilizzo del tema degli immigrati è fortemente legato alla questione della sfiducia nei confronti degli altri. Per noi l’alleanza della Lega al M5S non era poi così innaturale. C’era una base comune».
Lei ha annunciato che stiamo entrando in una fase di recessione. Quali sono le sue previsioni economiche per l’Europa nel 2020?
«Non si tratta di recessione, ma di crescita lenta, difficile. C’è un paese che mi preoccupa in modo particolare, dal quale dipenderà il futuro dell’Europa, e la possibilità di una nuova crisi finanziaria. È l’Italia. L’Italia non cresce più da 20 anni, questo crea insicurezza economica e la frustrazione. Penso che la debolezza della crescita italiana continuerà e quindi Matteo Salvini tornerà al potere, e dato che non ha più soluzioni di altri, la sua soluzione sarà quella di alzare i toni contro l’Unione europea e la zona euro, provocando una crisi finanziaria nuova, dalla quale questa volta nessuno uscirebbe vivo. Il vostro Paese ha in mano il futuro dell’Europa e della zona euro. Per questo in Francia abbiamo gli occhi puntati su Matteo Salvini, il M5S e le prossime elezioni».