Macron. Le Pen. Trump. E l’Italia. Parla l’ultimo socialista all’Eliseo
DI ANNA BONALUME
Che fine ha fatto François Hollande? Mentre il suo ex ministro Emmanuel Macron all’Eliseo affronta una grave crisi di popolarità e nuove proteste sociali, l’ex presidente è in tour. Ucraina, Emirati Arabi, Corea del Sud, Grecia, ma soprattutto Francia. Dall’uscita del suo nuovo libro “Lezioni del potere”, ha già fatto più di 80 incontri. L’Espresso lo ha intervistato a Parigi, nel suo ufficio in rue de Rivoli, a due passi dal Louvre, in compagnia del suo fedele labrador nero Philae.
Monsieur Hollande, lei ha lasciato l’Eliseo ormai da un anno e mezzo. Come racconta il suo quinquennio?
“In termini di importanza degli eventi, ciò che ha colpito la Francia durante il mio mandato sono gli attacchi terroristici. La storia conserverà l’immagine di una Francia attaccata, ferita, ma anche capace di resistere e di andare avanti, di superare insieme lo shock degli eventi. I francesi si ricordano di questo momento della mia presidenza, della fermezza e dell’umanità. Quello di cui sono più fiero è che la Francia sia stata in grado di accogliere i capi di Stato e di governo del mondo intero l’11 gennaio 2015 per celebrare l’importanza per tutto il mondo della libertà che era stata attaccata e che è spesso identificata con la Francia. Sul piano economico, attraverso le misure che ho preso, abbiamo ottenuto dei risultati che hanno tardato a realizzarsi, ma che sono arrivati. Infine, la questione del matrimonio per tutti: c’è stata una battaglia di idee e parlamentare, e l’abbiamo vinta, e ora questa legge è irreversibile. Ho il rammarico di non essermi potuto ricandidare, ma questa decisione è stata motivata dalla volontà e dalla responsabilità di non vedere opporsi al secondo turno la destra e l’estrema destra. Vede in Francia dopo ogni mandato presidenziale sembra imporsi un’alternanza: è difficile governare la Francia, ci sono forti aspettative che non sempre vengono soddisfatte, e con il quinquennio i ritmi si sono accelerati. La politica ha bisogno di tempi lunghi, la democrazia non è solo zapping. È l’azione continua, tenace, che può radicarsi nel tempo. Ciò che mi preoccupa di più, oggi, è la fragilità delle democrazie e il fatto che i populisti stanno incitando i cittadini gli uni contro gli altri”.
A proposito come giudica Matteo Salvini?
“Sfrutta sicuramente un’incomprensione degli italiani riguardo alla politica europea degli ultimi anni e in particolare sulle conseguenze dell’accordo di Dublino. Voglio essere giusto: è stato Matteo Renzi che per primo ha posto la questione al Consiglio europeo e ha chiesto che ci fossero degli adattamenti. Oggi l’Italia da sola non potrà risolvere questa questione; se l’Europa dei 27 non è in grado di dare risposte, bisognerà che noi possiamo fare il nostro dovere: il rispetto del diritto d’asilo e il riaccompagnamento dei migranti che non hanno vocazione a rimanere sul territorio europeo. L’unica soluzione è la cooperazione”.
Teme l’alleanza Le Pen-Salvini in vista delle europee?
“L’estrema destra è una minaccia per l’Europa. Quello che vogliono è uscire dalla zona euro e a lungo termine uscire dall’UE. Non vogliono un’altra Europa, vogliono ritrovare quella che chiamano la “sovranità”. Se sono nella zona euro e nell’Unione, devono rispettarne le regole, niente viene loro imposto. Sono liberi, la Brexit l’ha mostrato. È possibile uscire dall’Unione, e persino dalla zona euro, abbiamo visto i rischi che la Grecia ha corso per questo. Sono sicuro che gli italiani, come i francesi, anche se criticano l’Europa, non vogliono uscirne, capiscono a che punto questo è carico d’implicazioni nel Regno Unito e sanno bene che una moneta forte li protegge”.
Perché un cittadino europeo dovrebbe essere orgoglioso di far parte dell’Unione europea?
“Conosciamo un altro continente in cui le libertà siano così ben garantite? Conosciamo un continente dove la pace sembra stabilita per sempre? Un continente in cui la stabilità monetaria sia così ben protetta?”
La sinistra in Europa è ovunque in difficoltà, in vista delle elezioni del 2019…
“Anche nel 2012 la sinistra era minoritaria: intorno al tavolo del Consiglio europeo c’erano cinque o sei leader sui 28, che potevano dirsi apparentati al Partito Socialista Europeo. Renzi è arrivato più tardi, ed è stato un rinforzo importante in termini di quello che avremmo potuto fare per riorientare l’Europa, soprattutto sul piano economico. Oggi la sinistra è ancora più in difficoltà a causa dei populisti: da un lato i populisti di sinistra rimproverano al socialismo di essere un movimento europeo e aperto al mondo, dall’altro i populisti di destra stanno utilizzando l’immigrazione per deviare alcune delle categorie più modeste, quelle che tradizionalmente votano per la sinistra, da questo orientamento. La socialdemocrazia è stretta in una morsa”.
Nel libro “Un presidente non dovrebbe mai dire questo” si dice impressionato dall’eloquenza politica, l’organizzazione oliata, la retorica di Madame Le Pen, che sarebbe meno violenta di suo padre. Il Front National si è ritrovato di nuovo al secondo turno delle elezioni presidenziali. Qual è la sua visione del futuro del Front National qui in Francia?
“Il FN gioca sull’identità, e quindi sulla paura di vederla dissolversi; ciò che si deve dire agli elettori è che il modo migliore per mantenere la nostra identità è rimanere aperti al mondo. Nessun grande paese può vivere ripiegato su sé stesso, chiuso. Per mostrare gli effetti dannosi concreti di una politica di estrema destra, l’esempio di Donald Trump è utile. Cosa fa Trump da due anni ? Distrugge l’ordine internazionale nato dopo la seconda guerra mondiale, rimette in discussione il multilateralismo, l’ONU, l’UNESCO, straccia l’accordo sul clima, abbandona l’accordo sull’Iran, chiede a tutti i paesi che hanno un surplus commerciale con gli Stati Uniti di rinunciare all’esportazione. Questa è una politica nazionalista. Provoca incertezze, instabilità e impotenza”.
Qual è la relazione tra cinema e potere politico oggi?
“Sono stato molto influenzato dal cinema italiano quando era impegnato politicamente. Penso ai film di Ettore Scola, di Pasolini, al « Caso Mattei » di Rosi. Questi film sono stati importanti per l’impegno della mia generazione, hanno attirato l’attenzione sui problemi della democrazia, sulla lotta alla corruzione. Ogni volta che il cinema si indebolisce nel suo messaggio, nella sua creatività e nella sua frequentazione non è mai positivo per la democrazia. Il cinema permette di esercitare uno sguardo critico sul mondo. La cultura, la creazione sono essenziali nella battaglia che dobbiamo combattere oggi, anche per l’Europa: di fronte all’esplosione dei grandi media americani come Netflix, bisogna difendere la produzione europea. Bisogna tassare i GAFA, disporre di una potente industria cinematografica”.
Come immagina il suo futuro politico? Intende candidarsi alle prossime elezioni presidenziali?
“Ci tengo ad esprimermi liberamente, senza legami con una prospettiva elettorale, perché il modo migliore per essere ascoltati, è di mostrare il mio disinteresse. Ho realizzato il mio destino, sono stato Presidente della Repubblica. Ora voglio comprendere le nuove sfide, ecologiche, tecnologiche e demografiche. Non sono a capo di un partito politico. Cerco di trasmettere la mia esperienza e di essere utile”.
Nel suo libro scrive di Emmanuel Macron: “Per lui una volontà chiaramente affermata e molta seduzione provvedono a tutto” e di se stesso: “Mi hanno attribuito l’abitudine di preferire l’equilibrio all’audacia, il dialogo all’autorità, la prudenza alla sorpresa; mentre l’aria del tempo, ci dicevano, richiedeva intrepidità, velocità e fermezza”. Pensa che al mondo attualmente ci siano leader politici che combinano volontà e prudenza, intrepidità e dialogo?
“Ci sono gli intrepidi, che a volte conoscono delle delusioni. Ci sono i prudenti che finiscono per rimpiangere la loro mancanza d’audacia, ma è troppo tardi. Mi colloco accanto ai partigiani del compromesso, quelli che cercano di mantenere un equilibrio tra l’autorità e la semplicità, che è il principio stesso della democrazia”.
Crede che la volontà e la seduzione siano necessarie oggi per far avanzare una visione, una causa, un’idea politica in cui si crede?
“Meglio sedurre che spaventare. Ma è il tempo della provocazione. Prende il posto dei discorsi: ormai è meglio scrivere un tweet che sarà ripreso piuttosto che un lungo discorso strutturato che non sarà necessariamente compreso. Il rispetto che dobbiamo all’intelligenza umana è il fatto di non parlare alla pancia del cittadino, ma anche alla testa. Sono ancora convinto di questa gerarchia degli organi”.
Ségolène Royal ha affermato che il suo ultimo libro è il suo contributo al movimento MeToo. Come valuta il movimento MeToo e le sue conseguenze? Secondo lei è davvero servito alla lotta femminista?
“Non l’ha sfavorita. Il fatto che ci fossero uomini che avrebbero potuto essere denunciati ha portato molti altri a comportarsi diversamente. Ogni volta che le donne vengono maltrattate, gli uomini non stanno meglio. Al contrario, per l’interesse stesso degli uomini, è meglio che le donne possano farsi ascoltate e far prevalere i loro diritti”.
Il governo del suo primo ministro Jean-Marc Ayrault è stato il primo nella storia della Repubblica ad essere stato strettamente paritario. Cosa pensi dell’evoluzione del ruolo delle donne in politica e nella nostra società?
“Le donne hanno preso la parola e non la lasceranno. E’ una buona cosa, finalmente. Sia per quanto riguarda la parità nella retribuzione delle stesse posizioni di responsabilità, ma anche per la loro dignità. C’è stata una lunga battaglia per il controllo del proprio corpo attraverso l’accesso alla contraccezione, o anche con la lotta per il diritto all’aborto. Oggi la lotta è di un’altra natura: quella del rispetto dell’integrità fisica e dell’uguaglianza da tutti i punti di vista”.
Il movimento dei “gilet gialli” ha organizzato diverse manifestazioni sabato 17 novembre in tutta la Francia contro l’aumento del prezzo del carburante e le tasse previse dal governo. Comprende le ragioni della protesta? Come giudica le azioni intraprese dal governo di Parigi?
“La protesta era multipla, profonda, a volte contradditoria nelle sue rivendicazioni. È sul potere d’acquisto e la giustizia fiscale che si costruisce il malcontento. Ma il governo deve rispondere presto perché questo movimento non è strutturato né inquadrato. Può quindi essere deviato o sciogliersi senza che la rabbia si spenga”.
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